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L'ETÀ ACERBA
(LES ROSEAUX SAUVAGES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 maggio 1995
 
di André Téchiné, con Elodie Bouchez, Gael Morel, Stéphane Rideau, Frédéric Gorny (Francia, 1994)
 
1962: la Francia accorda l'indipendenza all'Algeria, l'OAS si scatena in una serie di attentati. In un villaggio del Sud-Ovest, sulle rive di quella Garonna dove André Téchiné è sempre ritornato quando si trattava di rimettere - come dicono i francesi - "les pendules à l'heure", s'intrecciano i primi amori, o piuttosto la sessualità di quattro adolescenti. Raramente, forse mai, questo ritorno all'emozione in presa diretta dettata dal paese natale, questo abbandono dell'altro polo determinante nella tematica di questo cineasta (la città, la capitale, verso la quale i protagonisti provinciali di molti suoi film sono attirati per potersi realizzare) si è tradotto in altrettanta semplicità, in cosi liberata ed ispirata felicità.

Ciò avviene anche per quelle condizioni di produzione che spesso, visionando un film, dimentichiamo esistere; e determinare fortemente un'opera. LES ROSEAUX SAUVAGES appartiene ad un'iniziativa che si sta infatti rivelando più che benefica: quella intitolata "Tous les garcons et les filles de leur âge", promossa da quella televisione che si dimostra essere cosi non necessariamente agli antipodi del miglior cinema, e che consiste in una serie di mediometraggi televisivi (alcuni, come questo, realizzabili pure come lungometraggi da proiettare nelle sale) sul tema dell'adolescenza.

Per un regista come Téchiné, indubbiamente dotato e raffinato, torturato e spesso incostante, spesso esitante tra la vocazione ad un realismo istintivo e le tentazioni di un barocco sopra le righe, ritrovare un sistema di produzione semi-professionistico, un budget limitato, degli attori quasi esordienti deve aver significato molto: scrivere di getto una sceneggiatura di esemplare fluidità e coerenza, filmarla con una libertà ed una tranquillità evidente, sposare un ambiente intimamente recepito, incontrarsi con degli attori estremamente disponibili, sfociare in significati al tempo stesso immediati e naturali, ma pure profondamente ancorati in una storia di tutti, da scriversi saggiamente in minuscolo, ma che - come spesso accade in questi casi - finisce per affermarsi in un prezioso, memorabile maiuscolo.

Il film inizia con le nozze di Pierre, che sposa la prima ragazza che gli capita sotto mano, pur di evitare di farsi mandare in Algeria; e finisce con la partenza di Henri, il "pied-noir" dall'aggressivo risentimento, ma che finisce per conquistare il cuore della lucida, serena (come si può esserlo nei turbamenti che precedono la maturità) Maité, la figlia dell'insegnante comunista del villaggio. Ma, pur cosi inquadrato dagli avvenimenti dell'epoca, LES ROSEAUX SAUVAGES non è - fortunatamente - una ricostruzione storica, il tentativo di riappropriarsi di un'epoca, un film esplicitamente politico. Poiché organizzato attorno al punto di vista del quarto degli adolescenti, François: l'allievo modello, il riflessivo non privo di un certo compiacimento, il tollerante nei confronti dell'animosità ambiente, il più maturo ed al tempo più fragile. Il più attento, pure il più turbato dei quattro nello spiare la rivelazione del proprio desiderio; tanto più che di desiderio omosessuale si tratta.

"Je suis un pédé" ripete, più incuriosito che preoccupato François, alla propria immagine riflessa nei gabinetti della scuola: aggrappandosi, più che al desiderio per Serge, disinibito figlio di contadini dal fisico di rugbymen, alla sola figura che gli serva di riferimento, quella di Maité.

Sulla traccia dello sguardo di François si organizza allora la vera progressione del film: non su un aneddoto, ma su un gioco di riflessi tra i giovani protagonisti, su dei rapporti di forza che progressivamente si fanno di adattamento. Adattamento non tanto a quella vita adulta, confusa ed incerta, fatta di modelli che sentiamo se non assenti perlomeno provvisori, che s'intravede appena; ma più ancora a quella condizione fatta di privilegi e di sofferenze che è l'adolescenza. Affermazioni intransigenti che nascondono l'incertezza, andature decise che tradiscono lo smarrimento di una meta ancora incerta.

Tutto immerso nella trasparenza dell'aria del Meridione, fra i riflessi delle acque trasparenti nelle quali s'immergono i giovani corpi, il cinema di Téchiné riesce a filmare quei momenti segreti e gridati con quella semplicità, quella decisione e quella verità che poche volte s'incontrano in una carriera. Lontano da quelle affermazioni (di morale, di stile) che hanno spesso appesantito il suo discorso, il regista ritrova la malinconia dell'istante che trascorre ma non inutilmente. Come risponde François a Serge, che gli consiglia di dimenticare ciò che è successo fra di loro: "dimenticare è orribile". E questi: "C'è qualcosa di più violento della morte di un fratello, o della guerra. C'è che tutto trascorre."


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